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1976
Càsba
A Ouarzazate mi sono separato dai compagni di viaggio triestini e dalla nostra mitica 2 Cavalli Furgonetta celeste e improvvisamente mi sono trovato solo, lontano, silente. Non c’erano carte di credito, né telefonini… solo i soldi per mangiare, pane, frutta e verdura, prendere una corriera… dormivo nelle case della gente, sulle terrazze, sulle stuoie… nella Càsba alle mie spalle sono rimasto tre gioni e tre notti senza mai uscire… c’era un matrimonio… le stanze davano su ballatoi… le case erano unite, intrecciate, disarticolate, inanellate un dentro all’altra, c’erano stanze letto e stanze piazza, stanze cucina e stanze da fumo, a tratti sopra la testa spuntavano le stelle… non c’era l’elettricità… ma l’acqua scorreva nelle ‘bocche’, tutti erano gentili… non ho incontrato nessun altro ‘infedele’ all’interno… dormivo con i loro bambini.… a piano terra c’erano i tintori e poi i tessitori, in un tripudio di colori… rosso fuoco rosso sangue rosso melagrana… un solo forno con decine di donne che cuocevano i pani… la festa… la festa… i grandi tamburelli, i fiati… il vortice della danza… gli occhi neri furtivi… fissi… infuocati…. e poi le grandi eccelse porte della Càsba si chiudevano agli estranei e scendeva la pace, la grande pace della notte, le chiacchere e il fumo dei padri, le ninne nanne delle madri… migliaia di persone, vicine, con poche porte e tante tende da cui filtrava la luce, il sussurro, il sogno.