1986
ROS
Nell’inverno dell’1986 è successo di tutto. Tradito e abbandonato da colei per cui ero andato a vivere a Vicenza, mi volevo buttare nel torvo Bacchiglione in piena. Mi salvò un amcico grande e buono, Roberto C. per giunta medico e psicologo!
Applicai la terapia messicana che dice che per dimenticare una donna la cosa migliore è trovarne un’altra. Da noi si diceva: chiodo scaccia chiodo.
La cura funziono così bene che il mese dopo avevo 2,5 storie ( due di notte e mezza di giorno) senza contare che la confusa D., essendo buona e infedele di natura, ogni tanto tornava anche da me per martoriarmi con passione. (Dalla polaroid di quei giorni si capisce il mio patimento e la voglia di rinascere).
Il caso vuole che Ros. abitasse in un vecchio palazzetto con tre finestre affacciate sul Bacchiglione, che a marzo ormai mi sembrava un fiumiciattolo innocuo.
La sua casa era piena di libri, grande e romantica, con un passaggio ‘segreto’ che dal living portava alla camera da letto.
Lei era giovane, slanciata, bianca, soffice e profumata come il latte. Nel vedere oggi questa miserrima fototessera ritrovo in essa con tenerezza i tratti della ‘razza veneta’ o meglio ancora vicentina!
Io lavoravo al bar su due turni: dalle 8 alle 17, o dalle 17 all’una e passa di notte. Lei aveva una sorta di reperibilità notturna. Non facevamo domande. Non c’era tempo. C’erano solo desiderio e simpatia. Ci incontravamo nelle ore più strane, sempre a casa sua, facevamo delle cene notturne e delle colazioni pomeridiane. Me lo ha spiegato bene Peter Greenaway vent’anni dopo: “Nella vita contano solo due cose: il sesso e la morte”. Intervallati da un po’ di cibo saporito!