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2002
"Morti di Maggio"
A maggio la nostra nuova casa posta al piano terra fra due giardini ‘segreti’, ci ha regalato la sorpresa quotidiana di rose, caprifogli, gelsomini, ortensie, erbe e fiori che hanno profumato e allietato i nostri giorni.
In contemporanea la nostra famiglia è stata attraversata da una saga di numeri, cicli e ricorrenze.
Infatti martedì 28 maggio 2002, sei giorni dopo la scomparsa del padre di Rita, Giovanni Monari (nel giorno di S.Rita, anniversario del nostro matrimonio) anche la mia stanca, lucida e serenissima madre, Santina Garelli, ci ha lasciato, partendo per il suo ultimo viaggio nel giorno di S.Emilia, la sua unica e ‘materna’ sorella. (Mio suocero era nato nel 1916, mia madre nel 1918. Se, come io penso, diventare vecchi è una fortuna loro sono stati fortunati: i loro figli sono vivi e i nipoti pure.)
Ieri, 30 maggio, si è svolto il funerale e abbiamo riportato il suo corpo da Alessandria al piccolo paese di montagna, Garessio, in provincia di Cuneo, dove aveva vissuto gli anni del suo matrimonio e dove mia sorella, mio fratello ed io abbiamo trascorso parte dell’infanzia.
Era una magnifica giornata di primavera, verde, con mantelli di papaveri nel grano e i ‘suoi’ amatissimi fiori di campo ovunque.
Il 30 maggio è anche il giorno del compleanno di Valentino, che ieri ha compiuto 4 anni e che per tutta la cerimonia è stato straordinariamente buono e serio, diversamente da Luigi (domani compie 6 anni) che ha vissuto questi ‘passaggi’ in maniera da un lato più lucida, consapevole e dall’altro più emotiva, irrazionale.
Sul perfetto sagrato ove i ciotoli del fiume Tanaro, ieri azzurro più del cielo, compongono una grande stella fiorita, ho rivisto parenti, in particolare due cugini imbiancati, figli dei fratelli di mia madre, che non vedevo da quando ero bambino ed altre persone amiche di famiglia di cui Lei pronunciava nomi a cui non sapevo abbinare volti, a dimostrazione di come, per ritrovarsi fra vivi, serva un morto.
Non dove è nata, né dove è morta e neppure negli altri paesi e città in cui ha trascorso la sua esistenza ha voluto celebrare la sua fine, ma in questa stessa chiesa dove si era sposata e dove anche la prematura bara di mio padre, discreto peccatore, fu spruzzata d’acqua santa. Un edificio, la Parrocchia di S.Caterina, maestoso, tutto in mattoni come nella tradizione piemontese, ma col campanile vezzoso, di intonaco bianco, con festoni verticali di antico giallo a richiamare il fastoso barocco dell’interno, in cui angeli d’oro si sporgono pericolosamente dalle colonne, candelabri dorati alti come vatussi svettano sugli altari e migliaia di susine di cristallo gravitano appese a lampadari irraggiungibili. Una dimensione imponente, di fine Settecento, fatta di pietre, statue, stucchi, balaustre, pulpiti, affreschi, che dal pavimento alla volta rifuggiva ogni frammento di un vuoto che oggi lo spopolamento dei paesi e il calo dei fedeli ha reso invece protagonista. Nel freddo intenso di questo grande vuoto a Santina sarebbe sicuramente piaciuto il canto di un volatile, di cui con ogni probabilità avrebbe riconosciuto genere e specie, che girovagava fra gli alti finestroni assolati. “Noi” a un certo punto avrebbe detto il prete, “siamo di fronte al mistero dell’Eternità come questo uccellino che è entrato e non trova via d’uscita”.