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1992
Anatolì
Il mio amico e maestro Norman Mommens a fianco della sua scultura ‘Anatolì’ alle cui spalle tramonta il sole. Il nome Anatolì apparve in sogno a Normann, quando viveva e scolpiva all’isola di Naxox, nel 1963; al mattino dal vocabolario capì che Anatolì significa Est. Sorgere. Aurora. Nel 1965 ritornato a Carrara scolpì in una pilastro di marmo ‘bardiglio’ grigio blu un erma alta tre metri e venti. Scrive Norman: “ Nel 1970 lasciavo Carrara per la Puglia. Sul terreno che apparteneva alla masseria in declino, nella quale mi ero trasferito, c’era un aia circolare con lastricato di pietra, nove metri di diametro. Una splendida ‘area lustrale’ per una grande scultura. In un primo momento pensai di mettere la statua al centro, ma uno dei blocchi di pietra che costituivano il basso muretto di cinta dell’aia era caduto di lato e quest’apertura mi suggeri un posto dal quale l’opera avrebbe presidiato l’area del recinto. In questa posizione si ritrovava di fronte all’entrata dell’aia e, come mi accadde di scoprire più tardi guarda ad Est.
Oggi, quindici anni dopo il mio sogno di Naxos, ho accettato il nome Anatolì sul serio. Insieme alla scultura attualmente cotta dal sole, osservo il sole muoversi lungo l’orizzonte tra i punti del suo levarsi nei solstizi.
Il sole istruisce Anatolì: qualcosa di più vitale per l’uomo della luce e dell’energia albeggia su di noi ogni mattina.”
Foto di Lenny Buratto, amico e grande guaritore dell’occhio.
Il suo capolavoro fu la morte
Una architettonica cerimonia di presentazione in Corso Monforte 15 è una delle poche volte in cui ho messo una cravatta e mi pare sia anche l’ultima. In mezzo c’é il giovane Spiller, (oggi noto compositore di musica elettronica) che già era alto due metri, vestito da colonna, e poi il mio amico Giorgio Semeghini, lombardo delle pianure che aveva eletto a sua dimora Lecce, dove 5 anni prima ci conoscemmo. Siccome in quella città eravamo entrambi ospiti felici e strani iniziammo a frequentarci e dato che io ero povero e lui ricco mi regalava giacche, camicie, scarpe, statuine di zucchero, vassoi di ceramica, pranzi e cene…
Il suo lavoro (portare nel Sud Italia il meglio dell’arte della tavola del Nord Europa - argenti cristalli porcellane) lo circondava di persone, feste e risate… ma in realtà viveva solo passando da un albergo a un altro sino alla sua casa nella periferia di Surbo (che da fuori era spettrale come quasi tutte le case nuove nei paesoni del sud e invece dentro era un mini-museo euroasiatico che spaziava dai vasi laconici della magna Grecia alla poltrona di Kita). Attore ed artista per diletto, barocco ed esagerato, Giorgio aveva qualcosa di tragico nel suo sorriso di esteta gentile. Dopo varie peripezie venne a morire, a soli 56 anni, nella pianura veneta, curato e coccolato da persone che indirettamente aveva conosciuto attraverso di me. A causa di uno dei suoi frequenti malumori/timori ci eravamo persi di vista… sapendolo alla fine però decisi di andarlo a cercare. Era un tumore lento e lui nell’appartamento luminoso di una villa veneta reincarnatasi albergo-casa di cura riceveva ogni giorno la visita di amici, artisti, attori, musicisti, vecchie amiche e a tutti diceva qualcosa di buono o regalavava qualcosa. Anche con me fu gentile e rivolgendosi agli astanti tesseva loro le mie lodi…… io ero andato a consolarlo e lui mi inondava di gioia… ero da poco padre e gli avevo portato una foto di Luigi poppante…… lui se la mise sulla testiera del letto e la indicava a tutti quelli che entravano: “ Guardate questo è Luigi il figlio di Virginio, diventerà un’artista della vita, come suo padre!”
Grazie Semeghini, grazie ancora, per la camicia a fiori, per la giacca di Pierre Cardin che tu dicevi usata e che per me era nuova.
1991
Guido Ceronetti
Un gruppo di case, da almeno tre secoli affacciate su un giardino interno a Treviso, in vicolo Roggia. Poi una mattina arrivarono e mi tagliarono gli alberi sotto la finestra della camera da letto… per fare posti auto ai nuovi ricchi che ristrutturavano… Feci un sogno in cui citavo Carlo Scarpa quando diceva ‘tra una casa e l’albero salvate l’albero!!’ e nella disperazione scrissi una lettera e la mandai in giro…
Ceronetti, a cui nella mia vita ho scritto tre volte per condividere poesie o tristezze (due volte mi ha a risposto) mi ha ricordato con questa sua chiarissima cartolina che è giusto, dolersi e che siamo in mano a dei macellai.
1990
Risposte d’amore
Ad una coppia si pone di frequente la domanda: “Dove vi siete incontrati?” Una sera a Francoforte lo chiesi a un bell’uomo euroasiatico di Macao e alla sua deliziosa signora eurobrasiliana. Lui mi rispose: “ Ci siamo conosciuti in Brasile, ma Io l’avevo già incontrata nei miei sogni più belli”. È la più bella risposta che ho sentito. In questa foto la Rita ha 5 anni, nel 1962, ed io non l’avrei incontrata che molti anni dopo, l’8 di settembre del 1990, su una verde spiaggia estense, ma guardandola mi è chiaro che la sognavo da sempre.
1989
Nipoti
Oggi in Europa la figura dello zio/a va rarefandosi. Io non sono stato un grande zio, perché ero sempre via, ma ho comunque un dialogo aperto con ognuno dei miei tre nipoti, che qui ho fotografato in Liguria, quando erano adolescenti nel 1989. Vent’anni dopo sono tutti e tre belle persone: Andrea il più grande vive a Londra, sua sorella Valeria è alla 14° missione all’estero ed è oggi a Gerusalemme, Chiara, la più piccola, figlia di mio fratello, da due anni vive a Bruxelles, ma non ci resterà a lungo.